“Vacanze italiane”: dagli antichi romani alla contemporaneità.

Storia di un amore eterno per il tempo libero

“Il lavoratore ha diritto a ferie annuali retribuite e non può rinunziarvi”.Era il1948 e l’articolo 36 della Costituzione della Repubblica Italiana sanciva la vacanza obbligatoria.  

Già nel 1927 si parlava di un generico diritto al riposo, ma solo nel secondo dopoguerra si è iniziato a parlare delle famose ferie. Tuttavia, il percorso per arrivare ad uno dei diritti più combattuti (e agognati) della classe lavoratrice è stato lungo e ricco di cambiamenti.Com’è noto, nell’antica Roma la popolazione più ricca lasciava saltuariamente le grandi città per rifugiarsi nelle grandi domus di campagna e trascorrere le giornate fra natura e divertimento. Allo stesso tempo, tutte le persone, indipendentemente da reddito, prestigio e genere, potevano usare le terme: calidarium,tepidariume frigidariumtempravano il corpo e rilassavano la mente.

Dopo la caduta dell’Impero Romano e fino al “secolo dei lumi” le vacanze in città o fuori perdono la loro importanza, ma ritornano in auge nel XVIII secolo come appannaggio esclusivo delle grandi élite attraverso il “Grand Tour” (da cui proviene la nostra parola turismo), espressione usata per la prima volta dal canonico inglese Richard Lassel nel suo The Voyage of Italy.In questo libro del 1670 Lassel racconta i suoi cinque viaggi nella Penisola ed invita a seguire le sue orme, convinto del fatto che ogni studioso di arte e architettura dovesse necessariamente conoscere l’Italia, e che ogni futuro lorddovesse passare un periodo all’estero per conoscere economia, cultura e politica di altre aree del mondo. Anche la nostra Firenze è stata la meta di nobili eredi provenienti da tutta Europa, ma anche di autori e autrici, che hanno impresso nelle loro opere il racconto (realistico o romanzato) delle loro “vacanze fiorentine”: dalle colline fiesolane di Anatole France e E. M. Forster fino agli angoli cittadini descritti nei propri versi da Elizabeth Barret Browning (alla cui memoria è dedicato il museo di Casa Guidi in Oltrarno).

Durante lo stesso periodo, i “comuni mortali” si accontentavano di sfruttare al meglio quello che le città e il paesaggio nei dintorni avevano da offrire, preferibilmente a poco o nullo prezzo. Per esempio, già verso la metà dell’Ottocento a Firenze esistevano cinque stabilimenti balneari in riva all’Arno, il “mare” del popolo che non poteva andare in vacanza. Nella zona del Prato, per esempio, sorgeva il bagno pubblico della Vagaloggia; in San Niccolò ce n’erano altri due, la buca del Centro (al Giardino Torrigiani) e il bagno del Fiaschiaio alle Molina dei Renai. Altri due bagni, conosciuti soprattutto per la pericolosità del fiume nei loro paraggi, erano quello delle Molina di S. Niccolò e quello della Zecca Vecchia.

Sulla costa toscana, e più precisamente a Livorno, già nel 1781 aprono i Bagni Beretti, un edificio chiuso e suddiviso in quattro stanze, all’interno del quale veniva pompata l’acqua del mare attraverso un sistema meccanico. Ma per vedere i primi stabilimenti balneari in Italia dobbiamo salire un po’ più a nord, ma sempre rimanendo in Toscana. Nel 1828 a Viareggio aprono il bagno femminile Dori e quello maschile Nereo. E di nuovo giù verso la costa livornese, negli anni successivi sorgono i Bagni Palmieri (1845) e lo Scoglio della Regina (1846), posizionato proprio dove Maria Luisa di Borbone, riparata da alcuni tendaggi, aveva fatto il bagno quasi mezzo secolo prima.

Nel Novecento in Italia si iniziano a vedere i prototipi delle future vacanze di massa attraverso la creazione della OND (Opera del Dopolavoro), uno strumento della dittatura fascista per aumentare il controllo sulla popolazione attraverso la pianificazione del tempo libero. Nascono così molte strutture turistiche, soprattutto al mare (grazie anche alla promozione dell’elioterapia, la cura del sole), pronte ad accogliere gruppi di persone giovani e adulte. Per l’occasione si organizzano treni a prezzi accessibili per permettere il movimento di un alto numero di persone.

Con il passare degli anni, tuttavia, si passa sempre più dall’idea della salute a quella del divertimento e le vacanze si trasformano in un momento di relax e intrattenimento per le famiglie, ricompensa di un anno di duro lavoro. Con la rivoluzione industriale italiana e l’aumento del benessere nasce il turismo di massa, che fra gli anni Cinquanta e Sessanta si sviluppa sempre di più grazie alla compresenza di vari fattori: l’aumento del reddito, il rafforzamento della rete autostradale, l’incremento dei mezzi pubblici (come il pullman) e parallelamente la diffusione delle auto, nonché la distinzione sempre più netta fra tempo lavorativo e tempo libero. Nei cinegiornali dell’epoca sono molti i filmati che raccontano questo nuovo tipo di vacanza e che, allo stesso tempo, servono come campagna pubblicitaria martellante per invogliare la popolazione a partecipare alla rivoluzione turistica.

Ègrazie a questi video, insieme anche ai film dell’epoca, che si diffonde nel mondo l’immagine della dolce vita italiana e delle meravigliose coste del Belpaese. Un’immagine, questa, che resiste anche alla successiva diffusione del turismo “mordi e fuggi”, concentrato in pochi giorni (spesso anche solo un fine settimana) e incentivato dallo sviluppo negli anni Novanta delle compagnie aeree low-cost. Ma lo stile italiano non è solo spiaggia e divertimento. Anche il turismo culturale si è diffuso in tutti gli strati della popolazione, che non disdegna di passare qualche giorno nelle cosiddette città d’arte (di cui Firenze è un bellissimo esempio).

Ma che cambiamenti porterà questa nuova, strana e complicata epoca che stiamo vivendo a livello globale? Possiamo già osservare le conseguenze sul turismo  a causa di un’emergenza sanitaria prima inimmaginabile. Sicuramente questo periodo porterà nuove riflessioni anche in campo turistico: se da una parte sarà necessario prendere in considerazione i problemi economici diffusi fra la popolazione e la preferenza per i viaggi più corti e più vicini a casa, dall’altra parte si dovrà pensare anche a come integrare i cambiamenti che ci richiede il territorio in cui viviamo. Infatti, la nuova idea di turismo non potrà più prescindere dalla tutela dell’ambiente e degli spazi urbani, e dalla necessità di ripensarsi come una comunità di individui. Bellezza e sostenibilità, rispetto e divertimento, dovranno essere parte della stessa realtà, quella dove il turismo vivrà (e qui a Firenze ne sappiamo qualcosa) un nuovo Rinascimento.